Racconto tratto dal libro "Tienimi la zampa" di Manuela Regaglia
Piccolo,
piccolo, con le zampette esili, i grandi occhi scuri e le orecchie ritte,
avvolto in una copertina di lana, in un freddo giorno di Dicembre, fece il suo
ingresso Pilù: un Pinscher nano dal pelo fulvo, un fascio di muscoli, che
saltava dal divano alla poltrona e di tanto in tanto lasciava, durante la
corsa, una delle zampette posteriori sollevata.
Mia madre, maniaca della pulizia, aveva dato il via all’operazione “pipì
pulita” un training per addestrare il cane a sporcare in un luogo ben
preciso. Come vi ho già detto, in quel
periodo abitavamo a Milano, in un complesso di tre palazzi di otto piani
ciascuno, poco verde, molto cemento e abbondante traffico, anche se erano gli
anni sessanta. Il nostro appartamento,
al settimo piano, aveva un bel terrazzo e lì fu identificato il luogo per i
bisognini di Pilù. Starete pensando che sarebbe stato meglio portarlo a fare
una passeggiata, sono d’accordo con voi, il fatto è che la signora del terzo
piano non chiudeva mai in modo corretto la porta dell’ascensore, che restava
bloccato. Scendere le scale era
divertente, con il balzo finale, saltando l’ultimo gradino, dritti sul
pianerottolo; salirle lo era un po’ meno, specialmente con il cane in braccio,
perché si rifiutava di zampettare su per i gradini. Per le emergenze temporali, ascensore
bloccato, ore notturne, malesseri di famiglia, si era istituito l’angolo di
Pilù sul terrazzo: o così o niente cane. La cassettina predisposta aveva i
requisiti di un bagno degno di una suite di un albergo a cinque stelle. Il mio compito era assistere alla pulizia di
detta cassetta per apprenderne la metodologia… (guarda e impara). Il lato
comico, per noi sicura-mente, non so per lui, era che andava a fare i bisognini
a comando e restava con la zampetta alzata e la testolina girata per vedere
quando mia madre gli avrebbe detto: «Va bene, va bene, bravo! Puoi venire», una
scrollatina e via a prendersi il meritato biscottino. Non ho mai chiesto a mia madre se anche con
me avesse adottato quel sistema per passare dai pannoloni al mitico vasino con
la testa di paperella, ma temo proprio di sì. Pilù si prendeva la sua rivincita
quando, all’ora della pappa, ci avvicinavamo alla sua ciotola. Partiva un
sonoro “grrr”, senza alzare la testolina dalla ciotola e mangiando avidamente
come un lupo affamato. Stando seduti,
a quasi tre metri di distanza, bastava
chiedergli: «Mi dai un po’ della tua pappa?» e la musica riprendeva: «grrr,
grrr, grrr». Il nostro cagnolino non visse a lungo, una polmonite se lo portò
via a soli cinque anni. Mio padre lo
mise in una scatola e quella mattina uscì di casa, con un peso immenso nel
cuore, anche se il peso di Pilù era di
soli due chili e mezzo. Lasciò un vuoto
incolmabile, quel piccolo esserino. Prima di rimuovere il suo cestino con
l’adorata copertina, trascorsero due giorni.
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