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domenica 13 aprile 2014

Pilù

Racconto tratto dal libro "Tienimi la zampa" di Manuela Regaglia


Piccolo, piccolo, con le zampette esili, i grandi occhi scuri e le orecchie ritte, avvolto in una copertina di lana, in un freddo giorno di Dicembre, fece il suo ingresso Pilù: un Pinscher nano dal pelo fulvo, un fascio di muscoli, che saltava dal divano alla poltrona e di tanto in tanto lasciava, durante la corsa, una delle zampette posteriori sollevata.  Mia madre, maniaca della pulizia, aveva dato il via all’operazione “pipì pulita” un training per addestrare il cane a sporcare in un luogo ben preciso.  Come vi ho già detto, in quel periodo abitavamo a Milano, in un complesso di tre palazzi di otto piani ciascuno, poco verde, molto cemento e abbondante traffico, anche se erano gli anni sessanta.  Il nostro appartamento, al settimo piano, aveva un bel terrazzo e lì fu identificato il luogo per i bisognini di Pilù. Starete pensando che sarebbe stato meglio portarlo a fare una passeggiata, sono d’accordo con voi, il fatto è che la signora del terzo piano non chiudeva mai in modo corretto la porta dell’ascensore, che restava bloccato.  Scendere le scale era divertente, con il balzo finale, saltando l’ultimo gradino, dritti sul pianerottolo; salirle lo era un po’ meno, specialmente con il cane in braccio, perché si rifiutava di zampettare su per i gradini.   Per le emergenze temporali, ascensore bloccato, ore notturne, malesseri di famiglia, si era istituito l’angolo di Pilù sul terrazzo: o così o niente cane. La cassettina predisposta aveva i requisiti di un bagno degno di una suite di un albergo a cinque stelle.  Il mio compito era assistere alla pulizia di detta cassetta per apprenderne la metodologia… (guarda e impara). Il lato comico, per noi sicura-mente, non so per lui, era che andava a fare i bisognini a comando e restava con la zampetta alzata e la testolina girata per vedere quando mia madre gli avrebbe detto: «Va bene, va bene, bravo! Puoi venire», una scrollatina e via a prendersi il meritato biscottino.  Non ho mai chiesto a mia madre se anche con me avesse adottato quel sistema per passare dai pannoloni al mitico vasino con la testa di paperella, ma temo proprio di sì. Pilù si prendeva la sua rivincita quando, all’ora della pappa, ci avvicinavamo alla sua ciotola. Partiva un sonoro “grrr”, senza alzare la testolina dalla ciotola e mangiando avidamente come un lupo affamato.  Stando seduti, a  quasi tre metri di distanza, bastava chiedergli: «Mi dai un po’ della tua pappa?» e la musica riprendeva: «grrr, grrr, grrr». Il nostro cagnolino non visse a lungo, una polmonite se lo portò via a soli cinque anni.    Mio padre lo mise in una scatola e quella mattina uscì di casa, con un peso immenso nel cuore, anche se il peso di Pilù  era di soli due chili e mezzo.  Lasciò un vuoto incolmabile, quel piccolo esserino. Prima di rimuovere il suo cestino con l’adorata copertina, trascorsero due giorni.

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