Se
si trattasse di un video invece di un libro… scriverei: “Attenzione immagini
forti”. Non per tutti i racconti vale questo avvertimento, ma per i primi due
sicuramente. Sono episodi avvenuti nel 1958, io avevo poco più di quattro anni
e mio cugino cinque… due cuccioli d’uomo a contatto con la Natura e con quelle
che erano le abitudini rurali di un tempo:
si allevavano polli, tacchini, oche e conigli per sfamare la famiglia…
Per noi, bimbi cittadini, erano compagni di giochi e quel che successe allora
segnò la nostra infanzia e credo, almeno per quanto mi riguarda, l’adolescenza
e di conseguenza l’identità. Ancora oggi mi capita di scappare lontano portandomi le mani sulle orecchie per non udire parole
che descrivono scene simili a quelle vissute durante la mia infanzia. Qualcuno
troverà da ridire sull’uso di alcuni vocaboli o su ciò che è contenuto in
questi due episodi. Chiedo scusa se
offendo il sentire di qualche lettore, ma è importante capire che nel ’58 la
vita era molto diversa da quella di oggi: la televisione era un lusso e le
trasmissioni vertevano principalmente su notiziari e alfabetizzazione (ricordo
il maestro Alberto Manzi alle prese con un gruppo di scolari in età adulta,
nella trasmissione “Non è mai troppo tardi”).
L’amore per gli animali era sentito più per quelli prossimi: cani e
gatti mentre per quelli che rientravano nella categoria “animali da cortile” era
buona norma non rivolgere loro attenzioni in senso affettivo, il loro
allevamento era finalizzato a sfamare le famiglie. Imperava il motto: “O mangi
sta minestra o salti dalla finestra”, non erano ammessi capricci… soprattutto a
tavola. Non si era ancora diffuso il Veganismo, termine che ha il significato
di vegetariani radicali. Mi spiego meglio: i Vegani non consumano né carne né
pesce o prodotti di derivazione animale (uova, latte, burro…) anche per
l’abbigliamento hanno la massima attenzione, niente indumenti di lana o seta…,
gli accessori non devono essere confezionati con parti di animali o con
prodotti testati su di essi. Appare chiaro che è uno stile di vita non violento
e volto al rispetto degli animali. La parola “vegan” fu coniata da Donald
Watson e da Elsie Shrigley nel novembre del 1944, in Inghilterra, inizialmente
gli iscritti furono pochini: 25. Oggi sono circa 4 milioni, sparsi in tutto il
mondo. Eravamo bambini molto diversi da quelli di oggi, basti pensare che
c’erano creature innocenti che all’età di 10 anni credevano in “Babbo Natale”…
Non
voglio difendere l’operato dei protagonisti di questi racconti ma solo
giustificarli inserendoli in un quadro socio-culturale ben diverso dal presente.
Inoltre, credo nella “pedagogia del racconto” o meglio “pedagogia narrativa”
poiché la intendo come una possibilità dell’esprimersi esistenziale.
Credo
sia più importante far vivere al lettore la mia esperienza passata e presente
ponendolo di fronte alla cruda realtà piuttosto che preconfezionare una bella
paginetta dal punto di vista stilistico, che risulterebbe sterile.
Il
rischio è quello di falsare la realtà e non permettere al lettore di entrare in
empatia con i miei vissuti emotivi.
Il
racconto si legittima per essere una sequenza esistenziale perciò non deve né
essere interrotto né censurato o corretto in modo tale che si conformi ai
dettami del perbenismo. Raccontare e raccontarsi significa cogliere e
raccogliere gli aspetti
emotivamente
importanti del proprio vissuto per offrirli al lettore affinché li possa
condividere, nel bene e nel male e condurli a considerare che si può cambiare
stile di vita.
Prima
di lasciarvi alla lettura dei miei racconti contenuti in questo libro, voglio
chiarire che essi sono spaccati di vita quotidiana: la mia vita e quella dei
miei piccoli amici.
Potrete
leggervi una morale, essere condotti per mano ad una riflessione, ricevere
informazioni sulle abitudini delle varie specie e andare alla scoperta di
tracce o indizi, che rivelino la presenza di simpatici animaletti, i quali
animano boschi, parchi e persino il limitare delle grandi città.
Non
c’è nulla di inventato, nulla di esagerato: mi sono solo concessa la libertà di
far parlare alcuni di loro affinché potessero, in prima persona, raccontarvi la
loro storia e renderla più coinvolgente, soprattutto, per i lettori più
piccini.
Ho
scritto per voi genitori e per voi cari ragazzi, ho voluto testimoniare
l’affetto, la riconoscenza e tanti altri
sentimenti, che i miei animaletti mi hanno dimostrato. Non so se riuscirò a farvi rivivere le
situazioni che descrivo, con le mie stesse emozioni, ma vi assicuro che il mio
cuore si riempie sempre di gioia, quando riesco a salvare quelle povere
bestiole.
Purtroppo
ci sono i casi tristi, direi tristissimi dove le lacrime scendono copiose e il
cuore si rattrista e nei quali ci si sente impotenti: sono i casi di
maltrattamento a opera degli umani su poveri esserini, che non hanno colpa e
neppure una “voce” per gridare aiuto.
Resteranno
lì, a subire gemendo, guardando il loro aguzzino con occhi disperati,
supplichevoli e chiedendosi il perché di tanta efferatezza.
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