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martedì 11 marzo 2014

AVVERTENZE



Se si trattasse di un video invece di un libro… scriverei: “Attenzione immagini forti”. Non per tutti i racconti vale questo avvertimento, ma per i primi due sicuramente. Sono episodi avvenuti nel 1958, io avevo poco più di quattro anni e mio cugino cinque… due cuccioli d’uomo a contatto con la Natura e con quelle che erano le abitudini rurali di un tempo:  si allevavano polli, tacchini, oche e conigli per sfamare la famiglia… Per noi, bimbi cittadini, erano compagni di giochi e quel che successe allora segnò la nostra infanzia e credo, almeno per quanto mi riguarda, l’adolescenza e di conseguenza l’identità. Ancora oggi mi capita di scappare lontano portandomi  le mani sulle orecchie per non udire parole che descrivono scene simili a quelle vissute durante la mia infanzia. Qualcuno troverà da ridire sull’uso di alcuni vocaboli o su ciò che è contenuto in questi due episodi.  Chiedo scusa se offendo il sentire di qualche lettore, ma è importante capire che nel ’58 la vita era molto diversa da quella di oggi: la televisione era un lusso e le trasmissioni vertevano principalmente su notiziari e alfabetizzazione (ricordo il maestro Alberto Manzi alle prese con un gruppo di scolari in età adulta, nella trasmissione “Non è mai troppo tardi”).  L’amore per gli animali era sentito più per quelli prossimi: cani e gatti mentre per quelli che rientravano nella categoria “animali da cortile” era buona norma non   rivolgere  loro attenzioni in senso affettivo, il loro allevamento era finalizzato a sfamare le famiglie. Imperava il motto: “O mangi sta minestra o salti dalla finestra”, non erano ammessi capricci… soprattutto a tavola. Non si era ancora diffuso il Veganismo, termine che ha il significato di vegetariani radicali. Mi spiego meglio: i Vegani non consumano né carne né pesce o prodotti di derivazione animale (uova, latte, burro…) anche per l’abbigliamento hanno la massima attenzione, niente indumenti di lana o seta…, gli accessori non devono essere confezionati con parti di animali o con prodotti testati su di essi. Appare chiaro che è uno stile di vita non violento e volto al rispetto degli animali. La parola “vegan” fu coniata da Donald Watson e da Elsie Shrigley nel novembre del 1944, in Inghilterra, inizialmente gli iscritti furono pochini: 25. Oggi sono circa 4 milioni, sparsi in tutto il mondo. Eravamo bambini molto diversi da quelli di oggi, basti pensare che c’erano creature innocenti che all’età di 10 anni credevano in “Babbo Natale”…
Non voglio difendere l’operato dei protagonisti di questi racconti ma solo giustificarli inserendoli in un quadro socio-culturale ben diverso dal presente. Inoltre, credo nella “pedagogia del racconto” o meglio “pedagogia narrativa” poiché la intendo come una possibilità dell’esprimersi esistenziale.
Credo sia più importante far vivere al lettore la mia esperienza passata e presente ponendolo di fronte alla cruda realtà piuttosto che preconfezionare una bella paginetta dal punto di vista stilistico, che risulterebbe sterile.
Il rischio è quello di falsare la realtà e non permettere al lettore di entrare in empatia con i miei vissuti emotivi.
Il racconto si legittima per essere una sequenza esistenziale perciò non deve né essere interrotto né censurato o corretto in modo tale che si conformi ai dettami del perbenismo. Raccontare e raccontarsi significa cogliere e raccogliere gli aspetti

emotivamente importanti del proprio vissuto per offrirli al lettore affinché li possa condividere, nel bene e nel male e condurli a considerare che si può cambiare stile di vita.

Prima di lasciarvi alla lettura dei miei racconti contenuti in questo libro, voglio chiarire che essi sono spaccati di vita quotidiana: la mia vita e quella dei miei piccoli amici.
Potrete leggervi una morale, essere condotti per mano ad una riflessione, ricevere informazioni sulle abitudini delle varie specie e andare alla scoperta di tracce o indizi, che rivelino la presenza di simpatici animaletti, i quali animano boschi, parchi e persino il limitare delle grandi città.
Non c’è nulla di inventato, nulla di esagerato: mi sono solo concessa la libertà di far parlare alcuni di loro affinché potessero, in prima persona, raccontarvi la loro storia e renderla più coinvolgente, soprattutto, per i lettori più piccini.
Ho scritto per voi genitori e per voi cari ragazzi, ho voluto testimoniare l’affetto, la riconoscenza  e tanti altri sentimenti, che i miei animaletti mi hanno dimostrato.   Non so se riuscirò a farvi rivivere le situazioni che descrivo, con le mie stesse emozioni, ma vi assicuro che il mio cuore si riempie sempre di gioia, quando riesco a salvare quelle povere bestiole.
Purtroppo ci sono i casi tristi, direi tristissimi dove le lacrime scendono copiose e il cuore si rattrista e nei quali ci si sente impotenti: sono i casi di maltrattamento a opera degli umani su poveri esserini, che non hanno colpa e neppure una “voce” per gridare aiuto.
Resteranno lì, a subire gemendo, guardando il loro aguzzino con occhi disperati, supplichevoli e chiedendosi il perché di tanta efferatezza. 



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