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venerdì 25 aprile 2014

Giovanni

Racconto tratto dal libro "Tienimi la zampa" di Manuela Regaglia



Il merlo Giovanni ci ha regalato  infinite sorprese, giorno dopo giorno si faceva sempre più domestico ed impudente.   
Ricordo di averlo notato uno dei primi giorni di bel tempo, alla fine di Marzo, quando si iniziano i lavori di vangatura dell’orto. Era interessato alle zolle di terra che venivano girate e dalle quali uscivano lombrichi dalle sembianze di serpenti boa, talmente erano grossi.    
Giovanni ci seguiva a distanza ravvicinata, all’inizio di una decina di metri poi, con il passare dei giorni, ci marcava sempre più stretti arrivando a pochi passi dietro di noi. Quando ci sentiva parlare, durante i nostri giretti in giardino e nell’orto, arrivava puntuale fischiettando e mostrandosi a noi come per dire: «Ci sono anch’io»  Aveva una compagna bella in carne e la coppietta s’era messa all’opera per costruire il loro nido, proprio  tra i rami irti di un ginepro, per poi passare alla covata successiva fatta in un nido posto sopra la serranda del garage, tra i rami di una rigogliosa Bignonia capreolata, un rampicante dai fiori a trombetta di un bel colore rosso-aranciato. 
Il nostro giardino non era ancora frequentato da gatti e la vita di Giovanni e merla trascorreva tra un pasto scroccato a noi (carne trita e pastoncino per insettivori) e nuovi nidi, costruiti in posizioni sempre più rialzate rispetto al suolo.   
Dopo la Bignonia era la volta del Kiwi, coltivato a berceau, per poi passare alle altre piante di kiwi tenute a spalliera. 
Nidi di qui, nidi di là, con l’aiuto della bella stagione e della ricca varietà di alimenti di cui cibarsi,  era arrivato persino a portare a termine sette covate in un anno.   
La tecnica per poter provvedere alle numerose nidiate era estremamente semplice; a lui e alla merla competeva il ruolo di metterli al mondo, a me quello di sfamarli ed aiutarli in caso di bisogno.
Il ritmo era pressoché questo: corteggiamento, costruzione del nido, accoppiamento, deposizione delle uova (ovviamente da parte della merla), cova delle stesse, bussatine alla finestra per ottenere cibo per sé  e per la merla, schiusa delle uova, primo giro di alimentazione naturale e “scroccata” mediante richieste esplicite per mezzo di ticchettio sui vetri delle finestre, ovunque noi fossimo.  
Dopo questo faticoso periodo, nel momento in cui i giovani merli si prodigavano nei loro primi voli spericolati, il gioco era fatto.
Mi presentava la nidiata  come se io fossi una “tata per merli” e svolazzava tranquillo alla ricerca di materiale per un nuovo nido. 
Anno dopo anno, ne trascorsero ben dieci, si rinnovava la scena, a volte dovevo prestare attenzione al più piccolo della nidiata, ancora imbranatello nel volo e quindi facile preda, altre volte era l’acqua il problema più grande ed allora supplivo al ruscello con abbeveratoi più o meno grandi dove, oltre a dissetarsi si potessero fare il bagno per poi distendere le ali e aspettare che il sole le asciugasse. 
Ricordo la prima volta che vidi Giovanni lì, immobile come spiaccicato sul masso posto in centro al giardino, le ali completamente aperte, il collo tirato e la testa quasi a ciondoloni sull’orlo del sasso; pensando fosse morto, mi prese un colpo ma poi  lo vidi muoversi leggermente e rialzare la testa agitando le ali come preso da un tremito, capii che stava asciugando le piume e il mio cuore riprese a battere normalmente.
Quante cose si imparano ad osservare attentamente gli animali, un altro atteggiamento curioso è la tecnica per confondere i predatori, specialmente se ci sono dei piccoli.   
Una mattina di fine giugno, stando alla finestra, stavo tenendo d’occhio due pulcini di merlo, che erano in attesa dei soliti bocconcini procurati da parte della loro mamma; c’era in volo una gazza, predatrice naturale di nidiacei e uova, Giovanni incominciava ad allarmarsi e lanciare il suo verso aspro “tach-tach-tach”, la merla cercava di attirare l’attenzione della gazza portandosi allo scoperto, distendendo un’ala e quasi zoppicando.  Era una finta, sembrava ferita e così la gazza  rivolgeva l’attenzione su di lei, nel contempo Giovanni radunava al sicuro i piccoli: che attrice quella merla!   Io ero pronta ad intervenire ma non ce n’era assolutamente bisogno con quei due genitori così organizzati.  
Giovanni era un uccello estremamente curioso, quando arrivava al cancello il postino, si andava ad appollaiare sopra alla recinzione del giardino a poco più di due metri dal visitatore e lo fissava con aria sospetta sollevando la coda e abbassandola tenendola aperta.  
Quando andavamo nell’orto, posto al disotto della strada, ci accompagnava camminando sulla recinzione per poi spiccare il volo aspettandoci sul fico nato sul confine con il terreno coltivato.    
Forse aveva capito che si andava a smuovere la terra e che sarebbero usciti vermetti ed insetti pronti per essere beccati al volo.
Riusciva a distinguere il rumore del motore della mia Alfa Romeo, incuriosito mi aspettava al cancello e se aprivo il portellone posteriore per scaricare la spesa, si piazzava a cinquanta centimetri da me.  Io gli lanciavo una ciliegia o una fragola o una pallina di carne trita, lui le afferrava prontamente e se le mangiava in un batter d’occhio… o meglio: batter di becco! 
Era una giornata veramente calda, stavo rientrando con l’auto carica di frutta e verdura e il sole cocente aveva fatto sì che le fragole mature, acquistate in quantità industriale per preparare la marmellata, espandessero la loro fragranza impregnando tutto l’abitacolo.  
Io ne ero quasi frastornata, tanto era intenso il loro profumo.   
Stavo scaricando i miei acquisti, andando avanti e indietro dall’auto alla dispensa, quando sorpresi Giovanni alle prese con la cassetta ricolma di questi gustosi frutti, era ancora nel portabagagli e lui vi si era ficcato dentro per rubarne una, eh sì, non una qualunque, il furbacchione aveva adocchiato la più grossa, che era anche la più matura.
Come potevo rimproverarlo, anch’io non vedevo l’ora di mangiucchiarne qualcuna, quel profumo faceva venire l’acquolina in bocca…
Il giardino era rallegrato dal canto del merlo e di molti altri uccellini, c’erano le schermaglie amorose, le lotte per il territorio e gli anni trascorrevano sempre più veloci, quasi al ritmo delle covate di Giovanni; per non parlare delle liete sorprese, che quel bellimbusto mi regalava.

Il mio giardino si stava popolando di gatti, non so e non voglio sapere se il mio merlo se ne sia andato a dimorare in un altro giardino o se la caccia, intesa come arte venatoria, o quella dei mini felini abbia fatto scattare “l’ora x”, sta di fatto che altri merli lottavano per il possesso di questo angolo di paradiso e che Giovanni non fu più visto. 


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